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Il periodo dell’anno più irriverente che ci sia: carnevale, dai saturnali ai travestimenti

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Colorato, spensierato e irriverente, tra stelle filanti, coriandoli variopinti, maschere e carri allegorici, questo è il carnevale, il periodo più divertente dell’anno. Momento del calendario un po’ burlone, il carnevale comincia la prima delle nove domeniche che anticipano la Pasqua; raggiunge il culmine il Giovedì Grasso e termina il martedì successivo, ovvero il Martedì Grasso, che precede il Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della quaresima. Il nome sembra derivi dal latino carnem levare, ovvero “togliere la carne”, poiché l’ultimo giorno di carnevale veniva celebrato con un ricco convito prima del digiuno dettato dalla quaresima; ma secondo taluni il nome potrebbe derivare da car navalis, una nave che, durante quei giorni, era portata in processione su un carro.

Le origini del carnevale sono da ricondurre all’epoca precristiana e, nello specifico, ad alcune festività pagane romane, come i saturnali, i lupercali e le equirrie, e a riti babilonesi.
I saturnali, celebrati tra il 17 e il 23 dicembre, si aprivano con un sacrificio solenne nel tempio di Saturno; a esso seguivano un banchetto pubblico e festeggiamenti nelle singole case. I saturnali erano caratterizzati da un profondo senso di uguaglianza e fratellanza dato dalla libertà di cui, in quei giorni, i servi godevano: gli obblighi sociali erano sciolti e l’ordine sociale costituito era rovesciato.

Il mese di febbraio, nell’antica Roma, era ricco di festività, e alcuni dei riti svolti, nel corso dei decenni, sono stati assorbiti nel carnevale. Il giorno 15, ad esempio, si celebravano i lupercali, una festa di purificazione in onore di Luperco, dio protettore del bestiame ovino e caprino, divenuto poi epiteto di Fauno. Il complesso cerimoniale dei lupercali si concludeva con una corsa attorno al Palatino durante la quale i luperci, vestiti con le pelli delle capre sacrificate al dio, dovevano frustare con delle strisce di pellame il terreno e chiunque incontrassero, soprattutto donne, per favorirne la fecondità. Al volgere del mese, invece, si tenevano le equirrie, una festa dedicata a Marte che veniva celebrata fino alla metà di marzo, istituita secondo la tradizione da Romolo, in occasione della quale a Campo Marzio si tenevano corse di carri.

In Mesopotamia, nella città di Babilonia, dopo l’equinozio di primavera veniva glorificato il mito della creazione del cosmo, ricordando la vittoria del dio Marduk sul serpente marino Tiamat. Durante le celebrazioni si teneva una processione in cui sfilavano rappresentazioni delle forze del caos e una nave su cui troneggiavano le divinità del sole e della luna, Šamaš e Sin.

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, l’inizio del Medioevo e la cristianizzazione dell’Europa, molti dei riti pagani furono fatti propri dalla Chiesa. È il caso, ad esempio, dei saturnali, i quali si ritiene siano stati anticipati al mese di febbraio, prima della quaresima, affinché i fedeli potessero rallegrare i propri animi in vista dell’imminente periodo di privazioni. Dei saturnali furono mantenuti i vivaci festeggiamenti e l’abrogazione di ogni costrutto sociale: in questi giorni di spensieratezza, i clerici vagantes – chierici secolari che si spostavano tra le varie città universitarie – invitavano la popolazione, attraverso la parodia e la presa in giro, a ribaltare il potere politico e l’autorità religiosa.
Il carnevale rappresentava il trionfo della libertà momentanea e l’abolizione di ogni regola, privilegio e rapporto gerarchico, in nome del riso e del divertimento più puri.

In questo contesto le maschere, il cui utilizzo a Venezia in occasione del carnevale è attestato fin dal X secolo, iniziarono a rivestire un ruolo di primaria importanza. Nascondendosi dietro di esse e celando la propria identità, le persone potevano dare libero sfogo alla propria goliardia e compiere ogni genere di malefatta.

Quelle più conosciute al giorno d’oggi derivano principalmente dalla commedia dell’arte, e una fra tutte ha un’origine che si potrebbe definire demoniaca. Arlecchino nasce dell’incontro di due diverse tradizioni: da una parte lo Zanni, personaggio delle compagnie comiche della Val Padana dai natali bergamaschi, dall’altra i personaggi diabolici farseschi del folklore francese. Nel XII secolo il monaco Orderico Vitale, nella sua Historia ecclesiastica, cita il demone Hellequin, mentre Dante, nella Divina Commedia, menziona il demonio Alichino, componente dei Malebranche, un gruppo di diavoli incaricati di tormentare i dannati della quinta bolgia, i barattieri. E non è un caso che la maschera del Seicento, consacrata dal mantovano Tristano Martinelli, avesse un ghigno diabolico e un piccolo corno sul lato destro della fronte, sebbene indossasse già un’ampia tunica bianca tappezzata di pezze colorate.
Forse, proprio per il carattere licenzioso e talvolta sfacciato di Arlecchino, incarnazione della libertà di cui si gode in quei giorni, è lecito affermare che “a carnevale ogni scherzo vale

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