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Anche a corte si beve bene: i distillati di sua maestà la regina

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Una tazza di tè accompagnata da alcuni scones o da una fetta di victoria sponge non guasta mai, ma alla veneranda età di novantacinque anni la regina Elisabetta II, la sovrana più amata al mondo, è solita sorseggiare ogni giorno attorno a mezzogiorno un buon bicchiere di Dubonnet, un vino fortificato, ovvero mescolato con un distillato, servito con limone e ghiaccio, mentre alla sera si concede spesso un Martini. Una passione, quella per liquori, che ha portato la regina a lanciare sul mercato una linea di bevande alcoliche firmata dalla corona. La decisione di avviare la produzione di distillati è stata presa nel 2020 quando le casse reali, a causa della crisi economica conseguente alla prima ondata di Covid-19 dovuta alla chiusura delle residenze della corona al pubblico e al drastico calo di vendite del merchandising ufficiale, hanno registrato incassi sempre più esigui, con una perdita di più di trenta milioni di sterline. Il primo distillato prodotto, immesso sul mercato britannico a luglio dello scorso anno, è il Buckingham Palace Dry Gin.

Uno spirito delle origini regali – come si legge sul sito del Royal Collection Shop – con note agrumate ed erbacee distillato con un’infusione di dodici botaniche, tra le quali vi sono verbena odorosa, bacche di biancospino, foglie di gelso e di alloro, coltivate e raccolte nel giardino di Buckingham Palace, un vasto spazio verde nel cuore di Londra di sedici ettari, che ospita più di trecento specie vegetali, risalente al regno di Giorgio IV che commissionò l’ampliamento del palazzo. Con una gradazione alcolica di 42% vol., il Buckingham Palace Dry Gin è contenuto in un’elegante bottiglia dall’etichetta azzurrina si cui spicca una ghirlanda dorata in cui sono intrecciati fiori di campo.

La produzione e la commercializzazione di questo gin sono gestite dal Royal Collection Trust, il dipartimento della Royal Household istituito nel 1987 che si occupa della gestione della Royal Collection – la raccolta di opere d’arte della famiglia reale – e delle aperture ai turisti delle residenze della regina, come il Castello di Windsor e il Palazzo di Holyroodhouse a Edimburgo.

Le cantine della regina, dopo il successo del primo gin che ora è un vero classico del mercato distillatorio inglese, si sono riempite di nuove referenze.

La prima è il Buckingham Palace Sloe Gin, un liquore a base di Buckingham Palace Dry Gin in cui sono messe in infusione delle prugnole selvatiche. Le prugnole conferiscono al gin un color rosso rubino e un aroma intenso, mentre al palato spicca una certa dolcezza che ricorda quella delle prugne mature e del marzapane con note speziate e di ginepro.

Lo scorso anno, in occasione della Festa del Papà, che in Regno Unito si celebra la terza domenica di giugno, Elisabetta II ha approvato la vendita di due tipologie di birre prodotte nella tenuta di Sandringham, la residenza di campagna situata nel Norfolk: la Sandringham Best Bitter, una bitter beer filtrata a freddo, e la Golden Ipa, dall’intenso colore ambrato. Entrambe le birre sono prodotte con orzo da agricoltura biologica coltivato nei terreni della tenuta e con tre varietà di luppolo. Le etichette sono un omaggio alla fauna tipica del Norfolk: una lepre e un fagiano fanno capolino tra i campi della contea inglese, loro habitat naturale.

Anche a Sandringham è prodotto un gin dai sentori esotici, il Sandringham Gin. Si tratta di un London Dry Gin infuso con sharon fruit, o cachi cinese, foglie di mirto provenienti dalle piante nate da una talea del bouquet della regina Alessandra di Danimarca, moglie di Edoardo VII, coriandolo, scorze di limone e arancia, liquirizia e, ovviamente, ginepro. L’etichetta di un intenso turchese è decorata con motivi dorati che rimando all’origine regale di questo gin.

Ma non solo birre e gin, la corona inglese produce anche dell’ottimo vino frizzante. Il progetto è stato avviato nel maggio del 2011 quando a Laithwaite’s, il più grande commerciante di vino del Regno Unito, è stato dato il permesso di coltivare un vigneto, composto da viti di Chardonnay, Pinot Meunier e Pinot Nero, a Windsor Great Park, un parco reale nei pressi del Castello di Windsor. Nel 2013 sono state raccolte le prime uve, mentre nel 2016 sono state confezionate le prime tremila bottiglie di Windsor Vineyard English Quality Sparkling Wine, uno champagne da abbinare a piatti a base di crostacei e molluschi.

Non resta che alzare i calici, o i tumbler, e brindare alla regina. God save the Queen!

Senza libri non posso sopravvivere, ma nemmeno senza il buon cibo. Dopo un master in Editoria sono approdato nel mondo della comunicazione, in particolare nel settore food. Amante di tutto quello che proviene dall’Oriente e di fotografia, trascorro il tempo libero occupandomi delle mie piante e colleziono fototessere. E poi impazzisco per l’odore dei fiammiferi appena spenti.

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L’arte della miscelazione sa ammaliare: i grandi cocktail a base di gin

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Il mondo della miscelazione pullula di un numero incalcolabile di cocktail: ogni barman e ogni appassionato ha le proprie ricette e basta solo una piccola variazione – magari un ingrediente diverso, una decorazione differente o l’uso di un distillato al posto di un altro – perché ne possa nascere una nuova che va ad arricchire questo universo variegato. I cocktail a base di gin, negli ultimi anni, sono protagonisti di una vera e propria rinascita. Il gin, in quanto distillato estremamente versatile, è tornato a splendere nelle cocktail list dei locali e negli home bar. Il merito è da imputare al numero in costante aumento di gin che, di anno in anno, vedono la luce e alla dinamicità che caratterizza questo spirito: il sapore pungente e balsamico conferito dal ginepro e l’uso di diverse botaniche fanno sì che i cocktail a base di gin siano sempre più richiesti, bevuti e anche preparati a casa. Un ripasso non guasta mai: ecco, quindi, qui delle brevi presentazioni dei più conosciuti.

 

GIN TONIC

Un classico intramontabile e semplice da preparare, il gin tonic è il primo cocktail a cui si pensa quando si parla di gin. Per realizzarlo bastano solo tre ingredienti (che possono avere un’infinità di stili): gin, acqua tonica e limone. Il risultato è un drink di facile beva perfetto per l’aperitivo.

BRAMBLE

Originale e ammaliante per via del colore, il Bramble è un cocktail da aperitivo nato negli anni Ottanta a Soho, uno dei quartieri più alla moda di Londra. Si tratta di un sour dove gin, limone e zucchero sono amalgamati dal liquore alle more, che aggiunge un’interessante nota dolce.

WHITE LADY

Elegante e sofisticato come il nome che porta, il White Lady può essere considerato la versione europea del Margarita, in cui il gin sostituisce la tequila. Al distillato si aggiungono limone e triple sec: si ottiene così un sour dalle note agrumate e dall’elevato tenore alcolico.

MARTINI

London Dry Gin e Martini secco sono i due ingredienti che danno vita a questo cocktail iconico. Da servire in una coppa rigorosamente gelata, il Martini, per essere reso ancora più interessante, può essere guarnito con olio essenziale di limone, un’oliva o una cipollina in agrodolce. Inoltre, per un sapore più complesso è possibile impiegare le stesse quantità di gin e vermouth bianco.

NEGRONI

Aromatico, amaro ed erbaceo, il Negroni è un altro grande classico gettonato per l’aperitivo. Il Negroni, tra i cocktail a base di gin, è il più nostrano: a comporlo, infatti, vi sono gin, bitter e vermouth rosso nelle stesse proporzioni, tre centilitri ognuno. La storia vuole che sia stato inventato a Firenze dal bartender del conte Camillo Negroni quando quest’ultimo chiese di bere qualcosa di più forte di un Americano.

GIN FIZZ

Di colore trasparente con leggere sfumature gialle, il Gin Fizz è uno dei cocktail estivi per eccellenza, nonché il re dei fizz, ovvero dei cocktail sour allungati con soda. Per prepararlo bastano gin, soda, succo di limone e zucchero: miscelandoli si ottiene un drink che si può bere a qualsiasi ora del giorno e della sera. In questo cocktail il gin è il protagonista assoluto, quindi il consiglio è di usarne uno di ottima qualità.

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Il rosa è di tendenza: i pink gin sono di moda e spopolano ovunque

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Se c’è una cosa che Instagram e, più in generale, i social network sanno fare bene è dettare nuove tendenze, in ogni ambito della vita: dagli unicorni sotto forma di tazza, lampada e torta ai cronut (che furono protagonisti di una puntata della sitcom 2 Broke Girls) a sfide di vario tipo come la cinnamon challenge e la ice bucket challenge. Neppure il mondo della miscelazione è riuscito a sfuggire alle mode lanciate dai social: a spopolare nell’ultimo periodo, merito del fatto di essere fortemente instagrammabile, è il pink gin.
Ma cos’è il pink gin, questo distillato di un amabile rosa protagonista di molti scatti? Scopriamolo assieme!

Il nostro viaggio inizia in Sud America, in Venezuela per la precisione. Il medico tedesco Johann Gottlieb Benjamin Siegert, che operava come chirurgo generale nell’esercito di Simón Bolívar, nel 1824 dopo alcuni anni di studi brevettò un medicinale per curare i disturbi gastrici e intestinali; miscelando erbe e piante aromatiche creò l’angostura bitter, che battezzò con il nome della città in cui risiedeva, Angostura per l’appunto (oggi Ciudad Bolívar).

Solo pochi anni più tardi, alle metà del secolo, l’angostura cominciò a essere presente sugli scaffali delle farmacie dei Caraibi, degli Stati Uniti e del Regno Unito. In quanto medicamento, i marinai della Royal Navy la adoperavano per combattere il mal di mare. Il sapore amaro, molto più persistente di quello dell’angostura odierna, rendeva difficile berla in purezza; per tale ragione i marinai iniziarono a mischiare il bitter con il gin, che nelle stive delle navi non mancava di certo. Nacque così un miscelato che per via del colore rosato venne chiamato Pink Gin.

Il cocktail che prevede solo l’uso di questi due ingredienti, sebbene vi sia chi lo allunghi con della soda o dell’acqua tonica e lo serva con una zest di limone, ben si differenzia dai pink gin che si trovano oggigiorno in commercio. I pink gin, da intendere come distillati, non hanno nulla a che fare con il drink che porta lo stesso nome, se non per il colore.

I pink gin che acquistiamo e che stanno spopolando sui social sono dei comuni gin che, dopo la distillazione, vengono infusi con botaniche che conferiscono il caratteristico color rosa, come fragole, lamponi, ribes rosso, rosa o rabarbaro, o a cui vengo addizionati coloranti naturali.

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La distillazione si fa arte: le tecniche di produzione del gin

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Partiamo da una semplice ma basilare definizione: il gin è una bevanda alcolica ottenuta per distillazione di un fermentato a base di cereali – o più di rado patate – in cui vengono messe in infusione delle botaniche, ovvero erbe, spezie, bacche, radici e piante.

La produzione del gin è disciplinata dal regolamento (UE) 2019/787 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 17 aprile 2019. Secondo la legge, un gin distillato può essere definito tale solo se la presenza di coccole di ginepro, della specie Juniperus communis, è predominante rispetto agli altri prodotti vegetali impiegati e possiede un titolo alcolometrico volumico minimo di 37,5% vol.

La preparazione del gin ha inizio con la realizzazione della base alcolica fermentata. I cereali, per lo più frumento oppure orzo, vengono miscelati con acqua e lievito, scaldati lentamente e mescolati di continuo. La miscela viene fatta fermentare per un periodo che dura circa due settimane, arco di tempo fondamentale per lo sviluppo dell’etanolo. A fermentazione completata, la parte liquida viene separata da quella solida e posta all’interno degli alambicchi.

Ha così inizio la distillazione, un processo atto a purificare il liquido. Una volta riscaldata, la base, posta all’interno della caldaia, inizia a evaporare. I vapori incanalati nel collo scendono nella serpentina che li raffredda e li riporta allo stato liquido; sotto la serpentina si trova un recipiente che raccoglie il liquido condensato. Questa fase può essere ripetuta più volte a seconda del livello di purezza che il mastro distillatore desidera ottenere.
Il liquido ottenuto con la distillazione non è omogeneo. Il primo trentacinque per cento, chiamato testa, è un prodotto che contiene metanolo e acetone, sostanze tossiche, e per questa ragione è solitamente scartato. Il seguente trenta per cento, che costituisce il cuore, è la parte migliore. Mentre la coda, il trentacinque per cento del liquido restante, sebbene contenga alcune impurità può essere nuovamente distillato.

È proprio durante la distillazione che le botaniche vengono inserite affinché possano rilasciare i loro aromi. L’aroma delle botaniche può essere estratto con diverse tecniche: sospensione, macerazione e infusione. Nella prima le erbe e le spezie vengono poste in cui cestello forato situato alla base del collo dell’alambicco; i vapori entrando a contatto con esse ne assorbono le sostanze aromatiche. Le altre due tecniche simili tra loro, poiché entrambe prevedono l’immersione delle botaniche nel liquido, differiscono per la temperatura della base alcolica: se la macerazione è eseguita a freddo, nell’infusione la base viene scaldata a una temperatura compresa tra i quarantacinque e i cinquanta gradi.
Per la produzione di gin destinati al consumo di massa si impiega la tecnica del compound che consiste nella miscelazione di alcol e concentrato di aromi di gin oppure essenze artificiali di bacche di ginepro, erbe aromatiche e spezie.

Terminata la distillazione, il liquido è posto all’interno di tini e diluito con acqua al fine di ottenere la gradazione alcolica desiderata. Prima di essere imbottigliato, il gin viene filtrato per eliminare ogni impurità presente in sospensione.

Del gin esistono tre stili di produzione che corrispondono a esperienze sensoriali e organolettiche differenti.
Il London Dry è considerato lo stile più sofisticato e si è sviluppato circa alla metà dell’Ottocento nella capitale britannica quando i consumatori cominciarono a prediligere spiriti secchi. Ciò che contraddistingue questo stile è l’uso delle botaniche, che possono essere inserite soltanto durante la distillazione e devono essere completamente naturali. Difatti, è vietata per legge l’addizione di coloranti e sostanze aromatiche artificiali.

Il Plymouth Gin è, al contrario, l’unica denominazione esistente per il gin. Dal sapore più dolce rispetto al London Dry, questo distillato è prodotto solo a Plymouth, cittadina costiera del Devon, dalla distilleria Black Friars Distillery (Coates & Co Ltd).

Infine, il terzo stile è l’Old Tom. Diffuso fino alla nascita del London Dry, l’Old Tom, nato nell’Ottocento dall’esigenza di rendere più appetibile con l’addizione di miele i gin che erano prodotti in proprio, è un gin spiccatamente dolce per via dell’aggiunta di sciroppo di glucosio.

Negli ultimi tempi si sta diffondendo una nuova tendenza: i Navy Strenght Gin. Si tratta di gin dall’elevata gradazione alcolica, non inferiore ai 57% vol.

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