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Hangover: qualche suggerimento per superare i postumi della sbornia
Ok, alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha passato una serata di bagordi, in preda ai fumi dell’alcol, per poi svegliarsi il giorno dopo “hangover”, ovvero con la sensazione di esser stato investito da un treno, con un martello pneumatico che perfora la testa e con un senso di nausea e acidità di stomaco tremendi. E, magari, bisogna anche andare al lavoro, dove ogni bisbiglio del proprio vicino di scrivania sembra un urlare di aquile! Dice un vecchio detto: Di notte leoni e di giorno… (meglio sorvolare!)
Come fare per riprendersi in modo repentino dal post sbornia? I metodi ed i rimedi naturali sono tanti e, da qualche anno, anche la chimica ha messo al mondo, sotto forma di pastiglie o bevande, delle valide soluzioni. Tra queste, uno degli ultimi nati è Outox, una bevanda capace di ridurre il tasso alcolemico e la concentrazione dell’alcol nel sangue, accelerandone lo smaltimento. Si tratta della prima bevanda in commercio, approvata dall’Unione Europea, a base di acido citrico e fruttosio: il primo rallenta lo svuotamento dello stomaco, aumentando così il contatto tra l’etanolo e l’enzima gastrico che ne favorisce la degradazione, mentre il secondo stimola il fegato a produrre gli enzimi che ossidano l’alcol in acqua e CO2.
Un’altra soluzione proveniente dal mondo della chimica è l’americano Blowfish (pesce palla), cioè una miscela ad alto dosaggio, sotto forma di compressa effervescente e idrosolubile, di aspirina e caffeina. I due ingredienti cooperano per combattere la stanchezza (il caffè) ed il dolore fisico (l’aspirina) sotto forma di mal di testa, nausea e ipersensibilità alla luce ed ai rumori. Queste pillole miracolose, le uniche approvate dalla “Food and Drug Administration” statunitense, non sono altro, però, che uno dei tanti prodotti che ogni anno le aziende farmaceutiche sfornano per il post sbornia, tutti che promettono risultati fantastici, a volte male interpretati da chi pensa che, grazie a queste pastiglie, si possa bere quanto si vuole, per recuperare poi istantaneamente il controllo delle proprie funzioni mentali, ma non è così. Questi, sono tutti prodotti utili il giorno dopo, per ridurre le conseguenze della sbronza.
E per quanto riguarda i metodi naturali, quelli che si potrebbero definire “i rimedi della nonna”? Prima di tutto bisogna ricordare che, quando si bevono alcolici, si riempie il corpo di liquidi che, in realtà, disidratano il corpo stesso. Fondamentale quindi, per ridurre la ciucca, bere tanta, tanta, tanta… acqua! Buona la regola delle “due caraffe”, una da bere prima di andare a dormire e un’altra appena da bere appena svegli. Poi bisogna pensare a riequilibrare i valori nutrizionali con una buona colazione. La frutta, ed in particolare le banane, sono indicate per alzare i livelli glicemici che l’alcol ha abbassato, per apportare il potassio e le vitamine del gruppo B. Niente cibi di difficile digestione (come gli agrumi che accentuerebbero l’acidità già alta nello stomaco) né cola e caffè, che favorirebbero la diuresi aggravando la disidratazione da alcol.
Per rendere la propria espressione meno sofferente, poi, le vecchie care fette di cetriolo sugli occhi ed una buona crema idratante per il viso, posso fare miracoli, ma anche una leggera attività fisica può essere d’aiuto.
Per chi è temerario, invece, o per chi non ha trovato sollievo da nessuno di questi metodi (o semplicemente vuole farsi del male), ci sono sempre le cure esotiche. In Cina (e fin qui può ancora andar bene), per il post sbornia bevono tè verde, mentre in Romania e Turchia la terapia prevede trippa in brodo con aglio e panna. In Corea, per combattere gli effetti degli eccessi da alcol, preferiscono la zuppa di carne e verza, mentre i giapponesi scelgono le cipolle crude e le aringhe marinate.
Tanti quindi i rimedi del “giorno dopo” agli abusi dell’alcol, ma il migliore rimane sempre e solo uno: bere responsabilmente.
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Cin cin: come è nato il brindisi e la sua curiosa storia nel corso del tempo
«Discorso! Discorso! Discorso!». Quante volte abbiamo intonato queste parole durante un brindisi? Per noi italiani il brindisi è una cosa seria e ogni occasione è buona per sollevare i bicchieri al ritmo di “cin cin”. Con questo semplice gesto si celebrano i momenti più importanti delle nostre vite e gli eventi che meritano di essere ricordati, si stringono nuove conoscenze e si consolidano vecchie amicizie.
Questa azione per noi così comune, in realtà, era già praticata dalle civiltà antiche: Assiri, Babilonesi, Egizi e Sumeri erano soliti brindare con coppe e bicchieri colmi di bevande alcoliche.
Vi sono testimonianze storiche secondo le quali, già nel VI secolo a.C., i Greci offrivano libagioni alle divinità. In contesti come questi, legati alla ritualistica religiosa, le bevande santificate, perlopiù vino, venivano versate su altari o in fosse scavate nel terreno per ingraziarsi gli dèi e gli esseri soprannaturali. Solo al termine del rito i partecipanti potevano consumare tali bevande e brindare alla loro e altrui salute.
Fu con l’affermazione e l’espansione dell’Impero romano nel bacino del Mediterraneo e nel cuore dell’Europa che il brindisi assunse un nuovo significato, molto più simile a quello odierno. Accanto ai riti religiosi, il brindisi, soprattutto in seno ai patrizi, divenne un gesto per celebrare noti personaggi o avvenimenti pubblici di riguardevole importanza. Durante i secoli dell’impero, ad esempio, quando in Senato veniva approvato un nuovo decreto si brindava in onore di Augusto, il primo imperatore. Chi prendeva parte a queste occasioni arrivava quasi sempre all’ubriacatura, alla perdita dei sensi e, molto spesso, anche del pudore.
Con la diffusione del cristianesimo il gesto di sollevare il calice al cielo tornò ad avere una valenza prettamente liturgica. Nella messa, in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù, il vino diventa il simbolo del sangue di Cristo che, contenuto all’interno del calice, viene consacrato e mostrato ai fedeli. Il calice fu utilizzato fin dai primi tempi del cristianesimo per benedire il vino: i primi luoghi di culto erano ambienti comuni e il suo uso era legato alle suppellettili più diffuse, senza particolari prescrizioni riguardo alla materia o alla forma.
Il brindisi, nonostante la diffusione del cristianesimo, non perse il suo significato gioviale, ma, anzi, si arricchì di nuovi valori e utilità. In passato quando gli omicidi per avvelenamento erano pratica comune, era diffusa la credenza che il far tintinnare due bicchieri colmi di vino avrebbe assicurato la salubrità del liquido: un potenziale colpevole, infatti, non avrebbe rischiato che una piccola parte di vino avvelenato finisse nella sua coppa.
Nel corso del Medioevo il brindisi era un modo per tenere lontani i demoni e gli spiriti maligni: si riteneva che il tintinnio dei bicchieri, accompagnato a risa e grida, spaventasse questi esseri diabolici, in quanto simile ai rintocchi delle campane che annunciavano l’inizio della celebrazione eucaristica.
Questo gesto divenne così popolare che entrò, in maniera legittima, nella grande letteratura. Uno dei primi riferimenti scritti al brindisi, e in particolar modo al corrispettivo termine inglese toasting, si trova ne Le allegre comari di Windsor, la commedia firmata da Shakespeare. Sir John Falstaff, il protagonista, in una battuta esclama: «Vammi a prendere un quarto di vin cotto ed inzuppaci un buon crostino caldo». Questa pratica, che può sembrare strana, in realtà spiega in maniera eloquente l’origine della parola toasting: in passato era prassi comune intingere un tozzo di pane nel vino per far sì, almeno così si credeva, che assorbisse l’acidità della bevanda migliorandone il gusto. Il toasting, nel tempo, ha assunto quindi il significato di brindisi e ha portato alla nascita, in Inghilterra, del toastmaster, la persona incaricata durante gli eventi di presiedere ai brindisi.
Il crescente consumo di alcol in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto a partire dal Settecento, portò alla nascita di movimenti e all’emanazione di leggi atti a ridurlo. Tra i più noti vi sono i Gin Acts, una serie di leggi sancite in Gran Bretagna tra il 1729 ed il 1751 per limitare il consumo di gin, e il Movimento per la temperanza, un movimento sociale diffusosi soprattutto nei Paesi di lingua anglosassone che promuoveva l’astinenza totale dalle bevande alcoliche.
Infine una curiosità altrettanto interessante: per scoprire l’origine del nostrano “cin cin” dobbiamo scomodare i commercianti cinesi. Nel XIX secolo i mercanti cinesi che intrattenevano scambi commerciali con i mercanti e i marinai inglesi erano soliti, prima di ogni trattativa, offrire del tè rivolgendosi a loro dicendo “qing, qing”, ovvero “prego, prego”. I commercianti britannici cominciarono a utilizzare questa espressione, in quanto frase benaugurante, durante i brindisi, la quale, per mezzo della nobiltà che ne venne contagiata, valicò i confini degli Stati italiani. Inoltre, il “cin cin” ha anche una valenza onomatopeica: la parola ricorda infatti il suono cristallino dei bicchieri che collidono.
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L’arte della miscelazione sa ammaliare: i grandi cocktail a base di gin
Il mondo della miscelazione pullula di un numero incalcolabile di cocktail: ogni barman e ogni appassionato ha le proprie ricette e basta solo una piccola variazione – magari un ingrediente diverso, una decorazione differente o l’uso di un distillato al posto di un altro – perché ne possa nascere una nuova che va ad arricchire questo universo variegato. I cocktail a base di gin, negli ultimi anni, sono protagonisti di una vera e propria rinascita. Il gin, in quanto distillato estremamente versatile, è tornato a splendere nelle cocktail list dei locali e negli home bar. Il merito è da imputare al numero in costante aumento di gin che, di anno in anno, vedono la luce e alla dinamicità che caratterizza questo spirito: il sapore pungente e balsamico conferito dal ginepro e l’uso di diverse botaniche fanno sì che i cocktail a base di gin siano sempre più richiesti, bevuti e anche preparati a casa. Un ripasso non guasta mai: ecco, quindi, qui delle brevi presentazioni dei più conosciuti.
GIN TONIC
Un classico intramontabile e semplice da preparare, il gin tonic è il primo cocktail a cui si pensa quando si parla di gin. Per realizzarlo bastano solo tre ingredienti (che possono avere un’infinità di stili): gin, acqua tonica e limone. Il risultato è un drink di facile beva perfetto per l’aperitivo.
BRAMBLE
Originale e ammaliante per via del colore, il Bramble è un cocktail da aperitivo nato negli anni Ottanta a Soho, uno dei quartieri più alla moda di Londra. Si tratta di un sour dove gin, limone e zucchero sono amalgamati dal liquore alle more, che aggiunge un’interessante nota dolce.
WHITE LADY
Elegante e sofisticato come il nome che porta, il White Lady può essere considerato la versione europea del Margarita, in cui il gin sostituisce la tequila. Al distillato si aggiungono limone e triple sec: si ottiene così un sour dalle note agrumate e dall’elevato tenore alcolico.
MARTINI
London Dry Gin e Martini secco sono i due ingredienti che danno vita a questo cocktail iconico. Da servire in una coppa rigorosamente gelata, il Martini, per essere reso ancora più interessante, può essere guarnito con olio essenziale di limone, un’oliva o una cipollina in agrodolce. Inoltre, per un sapore più complesso è possibile impiegare le stesse quantità di gin e vermouth bianco.
NEGRONI
Aromatico, amaro ed erbaceo, il Negroni è un altro grande classico gettonato per l’aperitivo. Il Negroni, tra i cocktail a base di gin, è il più nostrano: a comporlo, infatti, vi sono gin, bitter e vermouth rosso nelle stesse proporzioni, tre centilitri ognuno. La storia vuole che sia stato inventato a Firenze dal bartender del conte Camillo Negroni quando quest’ultimo chiese di bere qualcosa di più forte di un Americano.
GIN FIZZ
Di colore trasparente con leggere sfumature gialle, il Gin Fizz è uno dei cocktail estivi per eccellenza, nonché il re dei fizz, ovvero dei cocktail sour allungati con soda. Per prepararlo bastano gin, soda, succo di limone e zucchero: miscelandoli si ottiene un drink che si può bere a qualsiasi ora del giorno e della sera. In questo cocktail il gin è il protagonista assoluto, quindi il consiglio è di usarne uno di ottima qualità.
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Il rosa è di tendenza: i pink gin sono di moda e spopolano ovunque
Se c’è una cosa che Instagram e, più in generale, i social network sanno fare bene è dettare nuove tendenze, in ogni ambito della vita: dagli unicorni sotto forma di tazza, lampada e torta ai cronut (che furono protagonisti di una puntata della sitcom 2 Broke Girls) a sfide di vario tipo come la cinnamon challenge e la ice bucket challenge. Neppure il mondo della miscelazione è riuscito a sfuggire alle mode lanciate dai social: a spopolare nell’ultimo periodo, merito del fatto di essere fortemente instagrammabile, è il pink gin.
Ma cos’è il pink gin, questo distillato di un amabile rosa protagonista di molti scatti? Scopriamolo assieme!
Il nostro viaggio inizia in Sud America, in Venezuela per la precisione. Il medico tedesco Johann Gottlieb Benjamin Siegert, che operava come chirurgo generale nell’esercito di Simón Bolívar, nel 1824 dopo alcuni anni di studi brevettò un medicinale per curare i disturbi gastrici e intestinali; miscelando erbe e piante aromatiche creò l’angostura bitter, che battezzò con il nome della città in cui risiedeva, Angostura per l’appunto (oggi Ciudad Bolívar).
Solo pochi anni più tardi, alle metà del secolo, l’angostura cominciò a essere presente sugli scaffali delle farmacie dei Caraibi, degli Stati Uniti e del Regno Unito. In quanto medicamento, i marinai della Royal Navy la adoperavano per combattere il mal di mare. Il sapore amaro, molto più persistente di quello dell’angostura odierna, rendeva difficile berla in purezza; per tale ragione i marinai iniziarono a mischiare il bitter con il gin, che nelle stive delle navi non mancava di certo. Nacque così un miscelato che per via del colore rosato venne chiamato Pink Gin.
Il cocktail che prevede solo l’uso di questi due ingredienti, sebbene vi sia chi lo allunghi con della soda o dell’acqua tonica e lo serva con una zest di limone, ben si differenzia dai pink gin che si trovano oggigiorno in commercio. I pink gin, da intendere come distillati, non hanno nulla a che fare con il drink che porta lo stesso nome, se non per il colore.
I pink gin che acquistiamo e che stanno spopolando sui social sono dei comuni gin che, dopo la distillazione, vengono infusi con botaniche che conferiscono il caratteristico color rosa, come fragole, lamponi, ribes rosso, rosa o rabarbaro, o a cui vengo addizionati coloranti naturali.
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