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Tra le montagne dell’Alto Adige alla scoperta dei masi del Gallo Rosso

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Fin dagli anni Sessanta l’Alto Adige è protagonista di un turismo in continuo divenire e vede arrivare visitatori sia dai Paesi dell’Europa Settentrionale sia da tutta Italia per trascorrere le vacanze estive e invernali.
Tra le sue vette e vallate si trova un’associazione, che fin dal 1998, promuove l’attività di oltre 1.600 masi. Gallo Rosso è l’associazione e appartiene alla Südtiroler Bauernbund, l’Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi. Lo scopo di Gallo Rosso è sostenere i contadini dei masi, una proprietà fondiaria costituita da un terreno agricolo con abitazione, nello sviluppo di attività da affiancare all’agricoltura e all’allevamento, affinché possano incrementare il loro reddito e non siano costretti a svolgere un secondo lavoro.
L’associazione non solo incentiva l’ospitalità e l’alloggio al maso, ma anche la ristorazione contadina, la produzione di prodotti enogastronomici genuini e l’artigianato locale.

Il motto di Gallo Rosso è “venire come ospiti, partire come amici”. I clienti dei masi possono trascorrere esperienze uniche e rigeneranti stando a contatto con la natura, recuperando i propri ritmi e concedendosi del tempo per sé.

I contadini coinvolgono gli ospiti nelle attività che quotidianamente vengono svolte in un maso: raccolta del fieno, mungitura, pulitura della stalla e gestione dell’orto sono solo alcuni dei gesti che stabiliscono un contatto con la natura. Ma non solo, è possibile anche partecipare a escursioni guidate in bici, a piedi o, in inverno, con le ciaspole, prendere posto a corsi di cucina altoatesina tradizionale e scoprire le proprietà delle erbe selvatiche montane o imparare a intagliare il legno.

Da una colazione da consumare nella Stube ricca di prodotti freschi e salutari provenienti direttamente dal maso, come torte e pane fatti in casa, burro, confetture, latte appena munto e speck, ai centri benessere, i masi possono soddisfare le necessità e le esigenze di ogni visitatore. Vi sono quelli con servizi pensati appositamente per le famiglie, quelli dotati di maneggi per gli appassionati di equitazione e i masi CasaClima, attenti alla sostenibilità ambientale.

I masi sono classificati secondo un punteggio espresso in “fiori”, conferiti dalla provincia di Bolzano. Da uno a cinque, i fiori indicano la qualità del servizio offerto e la vivibilità dei masi, intese come la capacità di accogliere e intrattenere gli ospiti in un ambiente bello e con varie opportunità per trascorrere il tempo libero. I parametri da rispettare per conquistare e mantenere i cinque fiori sono vari e specifici, ma ciò che forse conta più di ogni altra cosa è avvicinare gli ospiti allo stile di vita contadino.

Oltre ai masi, Gallo Rosso conta anche quarantadue osterie contadine che propongono piatti casalinghi, come canederli, Kaiserschmarren e strudel, a base di ingredienti stagionali, le quali si dividono in Buschenschank, con produzione di vino, e Hofschank, che offrono almeno un piatto di carne di produzione propria.
Settantaquattro masi offrono prodotti gastronomici realizzati con almeno il settantacinque per cento di materia prima proveniente dal maso stesso, mentre la restante deve essere prodotta in un altro maso. Infine, otto masi Gallo Rosso propongono prodotti artigianali realizzati a mano solo con materie prime locali, come legni intagliati e uova d’oca decorate.

È tempo di Törggelen

La tradizione del Törggelen, in Alto Adige, risale al Medioevo, quando i feudatari assegnavano ai contadini che lavoravano nelle loro proprietà il compito di pigiare e vinificare l’uva. L’etimologia della parola Törggelen, infatti, deriva da latino torculum, vale a dire “torchio”, l’attrezzo che veniva impiegato per la spremitura dell’uva. Nei mesi autunnali i contadini – all’epoca come ai giorni nostri – dediti a questa attività, alla fine della vendemmia, festeggiano ritrovandosi nelle cantine bevendo vino novello e mangiando castagne arrostite all’aperto.

Vino novelle e caldarroste restano i principali ingredienti della tradizione gastronomica del Törggelen che, con il tempo, ha assunto la modalità di una merenda, consumata nella Stube del maso o nelle osterie contadine, insieme a famigliari e amici dopo una bella passeggiata autunnale in montagna. Oggigiorno il menù del Törggelen è molto più ricco e comprende piatti come canederli, Schlutzkrapfen, salsicce con crauti, carne affumicata e krapfen.

Siamo bravi, belli e buoni. O almeno siamo convinti di esserlo! Amiamo cucinare, mangiare, bere, viaggiare, fotografare, conoscere e, in generale, ci lasciamo attrarre da tutto quel che merita un approfondimento. Viviamo lasciandoci calamitare da tutto ciò che piace e ci impegniamo a raccontarlo nel migliore dei modi. Altre nostre grandi passioni: gli animali domestici, l'orticoltura, gli alimenti genuini e sani e l'attività fisica. Come puoi interagire con noi? Scrivici a redazione@zedmag.it

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In viaggio da un Paese all’altro alla scoperta delle bevande calde delle feste

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Un camino acceso con il fuoco che crepita, le luci soffuse dell’albero di Natale e un leggero sottofondo musicale, un buon libro e una coperta calda sulle ginocchia, oppure una serata in compagnia dei propri cari. È così che molti vorrebbero trascorrere le vacanze natalizie. Eppure, sembra che manchi qualcosa. Certo! Un’ottima bevanda calda che a ogni sorso sappia sprigionare la magia del Natale.

La bevanda natalizia più celebre è, senza alcun dubbio, l’eggnog. Dalla consistenza cremosa e vellutata, l’eggnog è preparato con latte, uova, zucchero, spezie e uno spirito come rum o whisky. Così amato da George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti, che ideò una ricetta dall’elevata gradazione alcolica contenente whisky, rum e sherry, l’eggnog è l’“erede” del posset, una bevanda diffusa nell’Inghilterra del XII secolo a base di birra, uova e fichi citata da William Shakespeare nel Macbeth.

Diffuso soprattutto nel Nord Europa, il sidro è una bevanda la cui origine risale agli Egizi e a Romani, che erano soliti consumare succhi a base di mele fermentate. Infatti, furono propri i Romani a introdurre la coltivazione delle mele in Britannia; e non è un caso, dunque, che il sidro come lo conosciamo oggi sia nato in Normandia durante il Medioevo. Ottenuto dalla fermentazione del succo di mele di diverse varietà (la più adatta è la Bittersweet), frizzante e leggermente alcolico, il sidro si è diffuso anche in Inghilterra per merito di Guglielmo il Conquistatore, che dalla seconda metà dell’anno 1000 ne promosse la produzione nel regno, in modo particolare nell’odierna contea dell’Herefordshire. Il sidro è alla base del mulled cider, una bevanda calda in cui al succo fermentato di mele viene aggiunto un bouquet di spezie che comprende scorza d’arancia, noce moscata, chiodi di garofano e cannella.

Protagonista di feste e party di ogni genere, compresi quelli natalizi, è il punch. Composto da una base alcolica a cui vengono addizionati zucchero e agrumi, per lo più arancia, è spesso servito caldo, come digestivo, e in grosse terrine in cui è immerso un mestolo altrettanto grande. L’invenzione, se così vogliamo chiamarla, del punch risale al 1600: la prima menzione a questa bevanda è stata rinvenuta in una lettera datata 28 settembre 1632 scritta da un tal Robert Addams, membro della Compagnia delle Indie. Sembra che sia stato l’ingegno dei marinai britannici a dar vita al punch. Venuti meno i rifornimenti di vino e birra, i marinai provarono a creare una bevanda simile al vino aggiungendo spezie, zucchero e acqua ai distillati che riuscivano a reperire nelle colonie inglesi. Il risultato fu così apprezzato che, dalla metà del XVII secolo e fino all’età vittoriana, il punch venne servito nei locali di tutto il Regno Unito, sia nella versione con il rum sia in quella con l’arrak, un distillato prodotto in Asia Orientale ottenuto dalla fermentazione di cereali, melassa e vino di palma da dattero.

Un drink decisamente più esotico è il sujeonggwa, una sorta di punch tipico della Corea che, secondo alcune fonti letterarie, è preparato fin dell’epoca Goryeo (918-1392) in occasione dei festeggiamenti del Capodanno lunare. Da servire sia caldo sia freddo, il sujeonggwa si prepara utilizzando come base un decotto di cannella e zenzero a cui si aggiungono cachi disidratati e un dolcificante, che può essere zucchero o miele, ed è decorato con dei pinoli.

Ora non resta che procurarsi gli ingredienti necessari e realizzare la propria bevanda delle feste preferita!

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Gerusalemme: il crogiolo culinario del mondo

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Il fascino di Gerusalemme non risiede solo nella storia e nel grande alone di mistero capace di colpire in egual misura credenti e atei. Gerusalemme è una città viva che, con mia grande sorpresa, ha tanto da raccontare anche in tema di food. La cucina israeliana, si sa, è costituita da un fantastico crogiolo di piatti provenienti da ogni parte del mondo.

Mangiare in Israele equivale a vivere esperienze culinarie le cui radici nascono nel bacino del Mediterraneo e nei paesi limitrofi, ma anche nell’est e nel centro Europa. Si dice infatti che questo melting pot di cui la cucina è l’emblema, sia stato generato da un forte fenomeno di immigrazione che ha investito il paese portando sul territorio israeliano persone provenienti da più di ottanta nazioni, con il loro bagaglio di culture e tradizioni che sono state rispettate, ma anche rivisitate, dalle diverse generazioni che si sono susseguite.

frutta_mahane_yehuda_marketUno dei luoghi simbolo dove immergersi all’interno di questo viaggio culinario è sicuramente il mercato di Mahane Yehuda: un vero e proprio tripudio di profumi e di colori in cui spicca uno degli ortaggi simbolo della cucina israeliana, la melanzana. Ripiena, alla griglia, arrosto o con la salsa di sesamo (Tahini), la trovi ovunque: cucinata dai grandi chef o nei piccoli chioschi delle aree urbane, nei locali veraci come in quelli stellati è un vero e proprio must.

carpaccio_melanzana_arcadiaEd è proprio il Carpaccio di melanzana uno dei piatti simbolo della cucina di Ezra Kedem, chef dell’Arcadia. Realizzato con salsa Tahini, olio di oliva e yogurt rappresenta una proposta fortemente legata alle radici della sua famiglia. Molti degli ingredienti che utilizza Ezra Kedem solo locali, come le verdure che per la maggior parte provengono dal suo giardino: per lui Gerusalemme è la capitale del cibo di Israele proprio grazie al suo terroir fatto di svariate e pregiate coltivazioni. Un altro incredibile personaggio di Gerusalemme è Moshe Basson, chef dell’Eucalyptus, grande esperto di cucina biblica. Bisogna sentirlo parlare per capire la passione con cui segue il suo lavoro, con cui cerca le erbe sulle colline della città, come le utilizza a tavola. Israeliano di origini irachene, è un grande conoscitore ed esperto degli ingredienti della più antica tradizione ebraica e nel suo locale prepara ricette spesso descritte nella Bibbia utilizzando le stesse erbe che le donne usavano secoli fa: non a caso è stato definito archeologo del cibo.

E se da Azura, nel cuore di Mahane Yehuda si può assaggiare una fresca e verace cucina locale, tra cui spicca un hummus d’eccezione, da Lara lo chef Lior Cheftzadi porta sui tavoli un interessante mix di cucina israeliana tradizionale e contemporanea che risente anche degli studi effettuati in Italia e del lavoro svolto nelle cucine della famiglia Cerea Da Vittorio a Brusaporto (Bg).

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Stoccolma: arte, cibo e design made in sweden

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Scaparone_22022013_MG_3144Stoccolma è senza ombra di dubbio una delle città più interessanti del nord Europa. Elegante, raffinata, ricca di cultura riserva sorprese in ogni zona della città. A cominciare dalla sua Tunnelbana, la metropolitana, considerata la più lunga esposizione d’arte del mondo, dato che 140 artisti hanno decorato 90 stazioni dei 110 km della rete cittadina. Le diverse linee richiamano un’epoca che va dagli Anni ’50 al 2000: io ho percorso la T11 da Kungsädgården in direzione di Akalla, la linea blu dei mitici Anni ’70 (i miei!). Realizzata senza rivestimenti di cemento o calcestruzzo, ma lasciando la roccia così com’è, fornisce l’illusione di trovarsi all’interno di vere e proprie grotte e rende questa metropolitana davvero unica al mondo.

La città sorge su 14 isole che dal lago Mälaren si protendono a oriente, sul Mar Baltico. Gli edifici e i palazzi, i musei cittadini raccontano le meraviglie di 700 anni di storia, come testimonia la città vecchia (Gamla Stan) che è caratterizzata da stradine medievali, edifici ricurvi ma perfettamente conservati, il Palazzo Reale, le chiese gotiche e i bar, le caffetterie, i ristoranti e i negozi di oggettistica dedicati al celebre design svedese. Tra questi c’è un posto speciale che si chiama Alla Tiders Handelsbod. Si tratta di un negozio d’altri tempi dedicato al periodo che va dagli Anni Dieci agli Anni Trenta del Novecento in cui si possono acquistare prodotti di piccole aziende o artigiani rigorosamente Made in Sweden: non solo eccellenti specialità gastronomiche, ma anche manufatti artigianali come gioielli o cappelli che si richiamano a quegli anni, prodotti di bellezza, saponi e poi biscotti, miele, marmellate…

Scaparone_22022013_MG_3213Fuori dal centro storico merita invece fermarsi per una bevanda calda da Sturekatten konditori & kafferum, storica caffetteria di Stoccolma: locale quasi nascosto all’interno di un edificio risalente al XVIII secolo, a poca distanza dal Kungliga Dramatiska Teatern, in Riddargatan 4. Siamo nel quartiere di Östermalm, cuore elegante della capitale svedese e qui potrete assaggiare numerose specialità dolciarie locali, tra cui le torte di carote e di mirtilli, il kanelbullar, pane dolce alla cannella dalla caratteristica forma arrotolata, da servire accompagnandolo con caffè, latte freddo o sciroppo di mirtilli, i biscotti al cioccolato “Sarah Bernhardt”, a base di pasta di mandorle, farciti di cioccolato e rivestiti di glassa al cioccolato. Ma anche il toast con il salmone o il Toast Skagen, inventato nel 1958 da Tore Wretman, genio innovatore della cucina tradizionale svedese: preparato con gamberetti, caviale rosso (di salmone, a differenza del caviale nero, di storione), aneto, maionese, senape, burro, limone, pancarré. Una vera delizia.

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