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Chiacchierando con gli illustratori: come ti disegno il cibo e le bevande

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Siamo solitamente abituati a ritrovarci quello che mangiamo o che beviamo in un piatto o in un bicchiere. Ma non è sempre così perché può succedere che ci si imbatta in cibo e bevande su carta, disegnate da maestri della matita o del pennello. È grazie a loro che i colori, lo stile e i soggetti rappresentati riescono, pur non emanando profumi, a trasmetterci delle emozioni. Nel primo Novecento le pubblicità erano affidate quasi unicamente agli illustratori e per diversi decenni, prima di lasciare il testimone ai fotografi, queste figure avevano un ruolo chiave nella comunicazione e nelle prime forme di marketing. In Italia gli illustratori più rappresentativi furono il pittore futurista Giorgio Muggiani (autore delle pubblicità di Cinzano, Recoaro o Biscotti Lazzaroni), Fortunato Depero (Campari e liquore Strega), l’istriano Marcello Dudovich (Martini & Rossi) o Leonetto Cappiello (Spumanti Gancia e cioccolato Venchi). Quel lavoro non è però scomparso. Ci sono infatti ancora diversi e giovani illustratori attivi e molti di questi prestano la propria professionalità al settore food & beverage.

Gianluca Biscalchin
gianlucabiscalchin.it

È un giornalista gastronomico che ha sempre lavorato con le parole. A un certo punto della sua carriera ha intuito che il disegno sarebbe potuto diventare uno strumento, un linguaggio ancora più efficace per raccontare le sue storie. Da giornalista gastronomico a disegnatore gastronomico il passo è stato breve.
Ha illustrato numerosi volumi a tema enogastronomico. Tra questi “Cucina milanese contemporanea”“Santa pietanza. Tradizioni e ricette dei santi e delle loro feste”, “Il galateo del terzo millennio” e il suo “Pret-à-gourmet. Come diventare un vero gourmet a prova di gaffe”.

«Il lavoro più organico – ha spiegato Biscalchin – è stato per Taglio, un ristorante / caffetteria / shop vicino ai Navigli, a Milano. Purtroppo ora chiuso per via del covid. Ma ho collaborato con tanti ristoranti, dai super stellati (Niko Romito, Piazza Duomo di Alba, Da Vittorio dei fratelli Cerea) ai ristoranti di hotel (L’Albereta, il San Pietro di Positano) ai bistrot come La Segheria di Carlo Cracco e GnocchiKitchenBar di Emanuele Scarello a Udine.
Nel passare da un brief a un disegno entra in gioco la psicologia. Spesso il cliente ha bisogno di essere accompagnato verso una soluzione grafica, un’immagine che sappia raccontare al meglio il suo prodotto, la sua realtà. Per questo preferisco di solito fare più proposte, con stili diversi, in modo da cogliere il desiderio del committente. È fondamentale però ascoltare, indagare, conoscere bene il tuo interlocutore: in questo mi aiuta il mio background da giornalista».

Francesco Bevacqua
guzzerie.com

Si è approcciato all’illustrazione frequentando il liceo artistico e all’università ha studiato comunicazione allo IULM. Da sempre ha avuto la passione per la grafica e l’illustrazione e ha sviluppato la sua tecnica nel tempo libero parallelamente agli studi. Nella sua prima esperienza lavorativa è stato assistente in comunicazione dello chef Davide Oldani, per il quale si è occupato di ufficio stampa, collaborazioni, eventi e progetti di marketing.

«Con Guzzerie – ha raccontato Bevacqua – siamo partiti pensando a uno dei piatti più iconici italiani e più divertente da rappresentare e il risultato è stata “la carbonara”. Ci è piaciuta molto e da lì abbiamo sviluppato, cercando di mantenere lo stesso stile, tutto il resto della collezione. La coincidenza ha voluto che la stampa della carbonara diventasse anche il prodotto più venduto. La realizzazione della grafica segue lo stesso iter necessario per cucinare un piatto: si parte dalla ricetta studiando i singoli elementi che la compongono, si disegna la base, poi i singoli ingredienti e infine si unisce il tutto.
Parallelamente ai piatti e prodotti tipici della tradizione, ho sviluppato il progetto degli stellati. Negli ultimi mesi ho presentato la grafica di Guzzerie ad alcuni chef stellati italiani e stranieri, l’idea e lo stile sono stati accolti con grande entusiasmo e mi hanno commissionato personalmente i loro piatti firma che successivamente hanno condiviso sulle loro pagine social».

Marianna Tomaselli
mariannatomaselli.net

Prima dell’università non sapeva cosa fosse la professione dell’illustratore. Però, da quel che ricorda, ama disegnare da sempre. Arrivato il momento di scegliere a quale università iscriversi ha scoperto l’esistenza del corso di illustrazione e animazione all’Istituto Europeo di Design a Milano, che le ha dato le basi per poi farne una professione. Da quando ha iniziato, un po’ per caso o forse per propensione personale, ha sempre lavorato nel campo moda e adv e il food & beverage ne è stata una conseguenza. Il suo primo lavoro è arrivato proprio da Campari nel lontano 2014: un progetto e una collaborazione continuata fino a oggi.

«Non so definire ha precisato Tomaselli – se ci sia una mia illustrazione più iconica, posso dire che ci sono state delle illustrazioni che rappresentano tappe che hanno scandito dei cambiamenti nel mio stile e nella mia ricerca. Solitamente queste tappe arrivavano sempre dopo periodi di crisi creativa. Definisco il mio lavoro una continua ricerca ed evoluzione, specialmente nei progetti personali cerco sempre di spingermi oltre e non pormi dei limiti di stile e comunicazione».
Dal brief al disegno: qual è il tuo processo creativo? «Dipende molto dal brief. Ci sono delle volte che basta leggerlo per sapere esattamente cosa fare mentre ce ne sono delle altre, magari quando si tratta di un argomento che non conosco particolarmente, in cui inizio a documentarmi per poi fare una più amplia ricerca immagini basata su suggestioni e idee che mi vengono in mente. Successivamente lavoro su degli sketch orrendi e incomprensibili agli occhi esterni. Questo è un passo fondamentale poiché serve a me per capire se la composizione può funzionare oppure no. Poi passo a uno sketch più accurato dove aggiungo anche i colori, parte essenziale del mio lavoro. Solitamente questo è lo step che condivido con il cliente prima di passare all’illustrazione finale».

Giornalista dal 2000, da sempre vocato al settore food&beverage. Da grande avrei dovuto fare l'architetto, ma la passione per la comunicazione ha preso il sopravvento: ho infatti maturato esperienze nel settore del marketing operando nelle vesti di senior account in diverse agenzie di comunicazione. Oggi sono consulente aziendale nelle vesti di PR e addetto stampa. Sono appassionato di cucina, fotografia, giardinaggio, faidate e di fitness. Tra i progetti extralavorativi a breve termine: una casetta in montagna con tanto verde attorno.

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Scatta, mangia e condividi: come il mondo dei social ha cambiato la cucina

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#foodporn. #foodie. #yummy. #foodgasm. Scorrendo la home di Instagram quante volte ci siamo imbattuti in questi hashtag e altri simili sotto a foto o reel di ricette, piatti stellati o legati alla cucina di tutti i giorni?

Sul web la cucina ha iniziato a far parlare di sé grazie all’avvento, all’inizio degli anni Duemila, dei primi blog e di YouTube, ma è merito dei social se negli ultimi dieci anni almeno è diventata uno degli argomenti più discussi.

I nostri smartphone ci permettono di connetterci con il mondo e di condividere, in tempo reale, tutto quello che facciamo. Sfera privata e sfera pubblica sono interconnesse fra loro, sfociano l’una nell’altra: il desiderio di far sapere a chi ci segue dove siamo, con chi e cosa stiamo facendo e la curiosità data dallo spiare le vite altrui vanno di pari passo con il senso di appagamento che riceviamo da questa condivisione. E il cibo non sfugge a questa legge.

È così che, attraverso Instagram, possiamo conoscere i gusti dei nostri follower o sapere qual è il loro ristorante preferito. E sotto la lente della fotocamera il cibo che fotografiamo o riprendiamo deve risultare tanto bello quanto buono perché, mai come ai giorni nostri, il detto “si mangia prima con gli occhi” ha valenza universale.

L’estetismo in cucina, tuttavia, non è di certo una novità del XI secolo e del mondo digitale. Pensiamo alle nature morte raffigurate nei dipinti dei pittori olandesi e fiamminghi del XVI e XVII secolo. Natura morta con formaggi, mandorle e krakelingen di Clara Peeters o Natura morta con pasticcio di pavone di Pieter Claesz sono due ottimi esempi: pietanze decorate secondo le mode dell’epoca e disposte con cura su tovaglie intonse, piatti e bicchieri – quelli che oggi chiamiamo props – sistemati con cura per dare profondità alla scena. Non è forse questo che cerchiamo di far emergere, a distanza di secoli, nelle foto che pubblichiamo nei nostri feed o nelle stories?

Il cibo dà piacere: dalla sua preparazione all’impiattamento, fino al consumo. Ma quando lo “consumiamo” online, questo piacere raggiunge il proprio apice: la visione luculliana di un piatto ci porta a cercare nuovi contenuti correlati, come in un infinito susseguirsi di cause ed effetti, tanto che il piacere che nasce da questa continua esposizione al cibo assume, in alcuni casi, una connotazione pornografica.

Questo fattore, ad esempio, ha dato origine al fenomeno del mukbang. Nato in Corea del Sud, il mukbang altro non è che una trasmissione online durante la quale una persona ingurgita, davanti a una telecamera, grandi quantità di cibo mentre interagisce con il pubblico. C’è chi trae piacere erotico nel sentire e vedere una persona masticare, risucchiare e deglutire, e chi su alcune piattaforme è disposto a pagare per assistere a questi eating show.

Tutto ciò ha una conseguenza: il tempo passato davanti a uno schermo, che sia quello del telefono, del computer o della tv, a spulciare contenuti legati al cibo è in costante crescita a discapito di quello passato in cucina. Molte persone provano una maggiore soddisfazione nel vedere gli altri cucinare, ad esempio guardando vlog o ricette su YouTube, piuttosto che sperimentare e cimentarsi nella preparazione di nuovi piatti. Questa tendenza sembra andare nella direzione opposta rispetto a quanto accadeva almeno una decina di anni fa: chi all’epoca navigava sul web alla ricerca di spunti culinari, lo faceva soprattutto per una funzione pratica – imparare a cucinare – e non per impiegare il proprio tempo libero in un’attività ludica.

D’altro canto, l’importanza che il cibo riveste nella nostra vita online ha portato, da un lato, alla nascita di nuove figure professionali, come food blogger e influencer, mentre dall’altro si è rivelato essere un’importante vetrina per ristoranti, bar e strutture ricettive. Dai ristoranti stellati, venerati come dei templi in cui ogni alimento trova la massima espressione, alle trattorie di paese, che servono piatti dall’animo più rustico, ogni locale è parte di una vastissima rete i cui nodi sono costituiti da foto, video e recensioni. Tutti noi, infatti, prima di prenotare un tavolo diamo una veloce occhiata al profilo Instagram di un ristorante, per vedere come sono presentate le pietanze e come appare il locale, al sito web, per consultare in anticipo il menù, e alle opinioni che gli altri clienti hanno lasciato.

Al contempo, all’interno di questa rete trovano posto anche i piccoli produttori che, grazie ai mezzi digitali, possono far conoscere i processi lavorativi che stanno dietro i loro prodotti e instaurare un rapporto diretto con i potenziali acquirenti.

Non si tratta di decidere, quindi, se questo rapporto simbiotico sia moralmente giusto oppure no, ma di delineare alcuni degli scenari a cui esso dà vita, magari provando a ragionare su quelli che verranno ed esplorare alcuni dei modi in cui il mondo digitale si riflette e permea nella cultura gastronomica.

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Festa a Vico, in Campania l’enogastronomia ha il sapore della solidarietà

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Ormai mancano solamente pochi giorni: dal 10 al 12 giugno avrà inizio la XXI edizione di Festa a Vico, l’evento che animerà le strade, i palazzi e il lungomare di Vico Equense e di Seiano in Campania e che celebra valori, cultura e luoghi a sostegno di nobili cause benefiche.

Il tema dell’edizione di quest’anno sarà C’è sentimento e prende ispirazione dalle parole di una canzone del grande Pino Daniele: «Dove tutto ha senso, c’è sentimento», proprio perché il fil rouge che unisce tutti i partecipanti alla manifestazione è un sentimento di amore e curiosità verso questa terra ricca di eccellenze.

L’evento, che ha il merito di aver fatto conoscere al mondo le ricchezze culinarie, naturalistiche e storiche della Costiera sorrentina, è diventata di anno in anno una celebrazione della grande cucina italiana. Tre giorni di festa, con più di 50.000 presenze previste, oltre 300 chef italiani e stranieri e più di 100.000 prelibatezze enogastronomiche nazionali da degustare: questi sono alcuni numeri dell’edizione 2024 della kermesse voluta dallo chef Gennaro Esposito.

Lunedì 10 giugno

Dopo il benvenuto di Gennaro Esposito, la prima giornata della manifestazione sarà animata da due talk dedicati al mondo del vino e del cibo: “La cucina italiana esiste (ed è un patrimonio di valori). Parliamo della candidatura all’Unesco” e “Vino al Bivio: cambio dei consumi e dei trend”. Mentre nel pomeriggio sarà il turno di “Quel Vino a Vico”, una serie di degustazioni e masterclass guidate dai tre master of wine Gabriele Gorelli, Andrea Lonardi e Pietro Russo.

La giornata si concluderà con la tradizionale “Cena delle Stelle”, la cena di gala benefica nata in collaborazione con La Cucina Italiana, la più antica rivista di cucina nazionale. La cena, dal titolo Bites of Italy, la celebrazione della cucina italiana, è stata pensata per sostenere la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco. Sarà una serata con un parterre di chef internazionali che si misureranno con ingredienti italiani per proporre piatti inediti.

Martedì 11 giugno

La mattinata sarà animata da interessanti talk come “Agrifood Storia, evoluzione e sostenibilità” e “Evoluzione e nuovi trend del F&B nell’hôtellerie”, e si si parlerà anche di chef al femminile nel talk dal titolo “ELLE EST CHEF(FE), quando lo chef è lei”. Mentre nel pomeriggio si terranno masterclass dedicate al cibo e al vino.

La serata sarà invece dedicata a “La Repubblica del Cibo”, evento che trasformerà il centro di Vico Equense in un ristorante a cielo aperto con chef da tutta Italia che realizzeranno i loro piatti nelle strade, nei giardini, nei palazzi e nelle botteghe del paese.

In contemporanea, la stessa sera, presso il ristorante Torre del Saracino dello chef Gennaro Esposito si svolgerà l’evento di degustazione riservato alla stampa, dal titolo “Una Promessa è una Promessa” in cui i più promettenti chef italiani presenteranno i loro piatti, accompagnati da alcuni dei migliori vini italiani, a un pubblico esperto formato da giornalisti e opinion leader del settore.

Mercoledì 12 giugno

L’ultimo giorno della kermesse sarà dedicato al “Cammino di Seiano”, che avrà luogo presso l’incantevole Marina di Seiano, antico e affascinante borgo di pescatori. Qui si trova anche il ristorante Torre del Saracino, all’interno del quale avrà luogo l’evento “Quell’abbinamento a Vico”, dove alcuni tra i più importanti sommelier del panorama nazionale racconteranno il loro abbinamento del cuore a giornalisti e appassionati.

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Pazzi per la pasta fresca, piccolo vademecum su tortelli, cannelloni e lasagne

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C’è stato un periodo, durante il primo lockdown, in cui la farina era diventata un bene introvabile. Chi in quelle settimane non ha sfornato almeno una torta, una pagnotta o preparato della pasta fresca? Poi, tornati alla normalità, il tempo passato ai fornelli si è ridotto sempre di più e il confezionare deliziosi manicaretti è tornato a essere un qualcosa limitato alle occasioni speciali. Con le festività natalizie alle porte, qualcuno si cimenterà nella preparazione di tortelli, cannelloni e lasagne: ecco un piccolo vademecum per realizzare la pasta fresca nel migliore dei modi.

Iniziamo con una semplice distinzione, ovvero quella tra pasta fresca all’uovo e pasta fresca senza uova. La pasta fresca all’uovo, realizzata con farina di grano tenero e uova nel rapporto di un uovo ogni cento grammi di farina, è diffusa soprattutto al Nord, mentre la pasta fresca senza uova, a base di semola di grano duro e acqua, è prodotta per lo più nell’Italia del Sud e per la sua realizzazione si impiega, solitamente, una quantità di acqua pari alla metà del peso della farina.

Per quanto riguardo la farina, oltre alle due appena citate, che sono le più impiegate, si possono utilizzare anche altre tipologie: integrale, grano saraceno, riso e castagne, per menzionarne alcune.

Quando si inizia a impastare si dispone, sul piano da lavoro o sulla spianatoia, la farina a fontana aggiungendovi una presa di sale. Al centro vi si rompono le uova, che devono essere a temperatura ambiente, e si sbattono leggermente con una forchetta, o vi si versa l’acqua; poi si inizia a incorporare la farina a partire dall’interno, prestando attenzione a non far crollare gli argini della fontana. La lavorazione deve essere energica, poiché l’impasto che si vuole ottenere deve essere liscio, elastico e omogeneo. È questa la fase in cui è possibile colorare l’impasto aggiungendovi vari ingredienti come spinaci, nero di seppia, barbabietola rossa, curcuma o cacao amaro. L’impasto può anche essere realizzato con una planetaria munita di gancio: in questo caso basta versare gli ingredienti nella ciotola della planetaria e azionarla finché non si ottiene un impasto sodo e ben amalgamato, il quale va comunque lavorato brevemente con le mani sul piano da lavoro.

Dopo aver fatto riposare la pasta a temperatura ambiente avvolta in un po’ di pellicola per circa mezz’ora, giunge il momento della stesura. A seconda della quantità di impasto, prima di stendere la sfoglia è consigliabile dividerlo in più parti così da agevolarne la lavorazione. Armati di matterello o di nonna papera e con l’aiuto di un po’ di farina si stende la pasta fino a ottenere una sfoglia sottile e leggera, quasi traslucida.

Ora non resta che dare libero sfogo alla fantasia e confezionare i formati più disparati: dai maltagliati alle farfalle passando per tagliatelle, pappardelle, tortellini, ravioli e chi più ne ha più ne metta. Attenzione però: per alcune tipologie di pasta, come le orecchiette e i cavatelli, l’impasto non va steso, ma va lavorato dandogli la forma di un cilindro lungo e stretto.

Prima di porre la pasta fresca in congelatore è opportuno farla essiccare: la si dispone quindi su un vassoio o su un telaio e la si cosparge con della semola, lasciandola essiccare all’aria.

Quello della pasta fresca è un rito che si tramanda di generazione in generazione e che esprime il bisogno di prendersi cura di chi si ama portando in tavola piatti realizzati con il cuore.

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