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Il meglio della cucina e del design nordici con la swedish brasserie Björk

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Björk Side store, progetto di food e design nordico, nato lo scorso novembre a Milano, ha optato per l’ampliamento del suo raggio d’azione. Già legato al cibo e al design scandinavi infatti, pur mantenendo la sua anima da emporio, ha deciso di esprimere un altro suo aspetto diventando un ristorante-brasserie.

Björk si trova al numero venti di via Panfilo Castaldi, animato crocevia multietnico in Porta Venezia. Qui lo store già esistente si è allargato per accogliere la brasserie, a seguito di una metamorfosi annunciata, visto il successo ottenuto con il primo esperimento di brasserie svedese in Italia, ad Aosta, dove si può prendere parte ad interessanti esperienze di food e design nordici.

bjorkIl progetto è nato dall’incontro di Giuliana Rosset, appassionata imprenditrice e creatrice del marchio sportswear Napapjiri e Nicola Quadri, architetto e autentico interprete dello stile nordico in Italia con la galleria che porta il suo nome. Björk Side Store che diventa anche ristorante brasserie si fa interprete della cucina svedese, esprimendone in modo autentico i sapori locali nel rispetto delle materie prime, con cotture lente a bassa temperatura e marinature delicate.

Gli spazi, scanditi in modo fluido, sono destinati a pranzi, aperitivi e cene; con anche un banco gastronomia ricco di prelibatezze gourmand da portare a casa. Rimane il fascino dello “store” che accompagna il ristorante con un’accurata ricerca di food e di design contemporaneo attraverso una selezione di piccoli oggetti per la cucina e per la casa che, inediti in Italia, sono in vendita solo da Björk.

Per maggiori informazioni: www.bjork.it

 

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L’agroalimentare in fiera a Parma: al via una nuova edizione di Cibus

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Dal 7 al 10 maggio 2024 torna a Parma Cibus, la manifestazione di riferimento per il settore agroalimentare made in Italy, frutto della consolidata collaborazione tra Fiere di Parma e Federalimentare. La ventiduesima edizione, quest’anno, supererà ogni altra per numero di espositori (oltre 3.000 brand e una lista di attesa di 600 aziende) e per la presenza di buyer della grande distribuzione italiana e internazionale, provenienti da mercati come Stati Uniti, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Medio Oriente.

Su 120.000 metri quadrati di area espositiva verrà presentato tutto il meglio dei principali settori dell’agroalimentare italiano: formaggi e derivati del latte, carni e salumi, gastronomia e prodotti surgelati, oltre alla sezione grocery, con pasta, dolci, conserve e condimenti. Vi sarà anche un ricco programma di convegni e iniziative dedicato all’Authentic Italian Food&Beverage.

Mai come al giorno d’oggi per continuare a crescere l’agroalimentare made in Italy, che è sempre più presente sulle tavole di tutto il mondo e consapevole del proprio ruolo guida sul piano della qualità e della sostenibilità, deve guardare all’estero e al futuro. Nel 2023 l’export, secondo i dati Istat, nonostante un leggero calo dei volumi ha registrato un valore pari a oltre 52 miliardi di euro, con un aumento del +6,6% rispetto al 2022, grazie ai continui investimenti delle aziende che puntano all’innovazione guardando con crescente attenzione alle esigenze del consumatore e del pianeta.

L’ industria alimentare nazionale continua a competere e a crescere grazie a una straordinaria flessibilità e creatività che ha consentito ai consumatori italiani di non impoverire troppo il proprio carrello della spesa e ai distributori internazionali di adattare rapidamente i propri assortimenti per non perdere troppi volumi. In quest’ottica Cibus ha promosso e realizzato un Osservatorio sul settore food, che Fiere di Parma svilupperà in collaborazione con il CERSI, Centro di Ricerca per lo Sviluppo Imprenditoriale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un Monitor per offrire a imprenditori, manager e policy-makers un quadro costantemente aggiornato sull’andamento internazionale del settore agroalimentare, fornendo indicazioni utili ai fini della ricerca di opportunità di sviluppo commerciale nei mercati esteri attraverso una metodologia comparata e costantemente aggiornata.

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Un ingrediente irrinunciabile in pasticceria: la preziosa vaniglia

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Per secoli le spezie sono state un bene di lusso, un ingrediente che solo i nobili e le casate più agitate potevano permettersi. Al giorno d’oggi, per merito della globalizzazione, il loro prezzo è calato e oramai sono un prodotto a cui tutti possono accedere. Tuttavia ve n’è una il cui costo elevato la rende ancora particolarmente pregiata: la vaniglia.

La vaniglia, Vanilla planifolia, è un’orchidea rampicante monoclina originaria del Messico, diffusa nel sottobosco delle foreste tropicali umide. I fiori che sbocciano solo un mattino per ogni stagione riproduttiva, il cui colore varia dal bianco al giallo pallido con sfumature verdognole, vengono impollinati dalle api del genere Melipona e, solo a fecondazione avvenuta, l’ovario si trasforma nella capsula pendente, il cosiddetto baccello. I baccelli di colore verde e dall’aroma amarognolo sono sottoposti a un laborioso processo di lavorazione. Una volta raccolti, circa nove mesi dopo la loro formazione, vengono immersi in acqua calda per alcuni minuti per interrompere i cicli metabolici. In seguito, per evitare la formazione di muffe e la proliferazione di batteri, viene eliminata la gran parte dell’umidità contenuta in essi, i quali, per via dell’ossidazione, diventano di color marrone scuro. Prima della commercializzazione, vengono fatti riposare per alcuni mesi in modo tale che le reazioni chimiche che avvengono in essi portino alla formazione delle sostanze aromatiche, prima fra tutte la vanillina.

Per secoli le popolazioni amerinde impiegarono la vaniglia nella preparazione dello xocoatl, una bevanda spumosa a base di cacao, acqua calda e mais. E le stesse popolazioni, in modo particolare i Totonachi, abitanti la costa e l’interno dell’odierno estado messicano di Veracruz, detennero il monopolio della produzione di vaniglia fino circa alla metà del XIX secolo.
I primi tentativi di impollinazione artificiale della Vanilla planifolia, apprezzata in Europa fin dal Cinquecento, furono condotti nel 1836 dal botanico e naturalista belga Charles François Antoine Morren. Ma solo alcuni anni dopo, precisamente nel 1841, il processo venne perfezionato. Edmond Albius, uno schiavo dell’Isola della Riunione – chiamata Bourbon fino al 1793 –, utilizzando un bastoncino di legno sollevò il rostello del fiore, un sottile lembo che separa l’antera maschile, ovvero la parte terminale dello stame, dallo stimma femminile, e con il pollice spalmò il polline riuscendo così a fecondare il fiore. Questa tecnica, impiegata ancora oggi, permise ai francesi di iniziare a produrre la vaniglia al di fuori del suo Paese d’origine e in regioni, come l’Isola della Riunione, il Madagascar e le Comore, in cui l’ape responsabile della fecondazione non è presente.

Il Messico ha così perduto il primato della produzione di questa spezia, il quale è passato al Madagascar. E nel corso dei decenni la coltivazione di vaniglia si è diffusa in altri Paesi dei tropici, tra cui Polinesia, Indonesia e Jamaica.
Oltre alla Vanilla planifolia, le altre due varietà coltivate nel mondo sono la Vanilla tahitensis e la Vanilla pompona. La prima, con note di anice, mandorla e fava tonka, è prodotta in Polinesia francese; la seconda, conosciuta anche come vaniglia banana per la lunghezza dei baccelli che sfiorano quasi i trenta centimetri, è coltivata in America Centrale e impiegata per lo più nell’industria profumiera.

Con i suoi semi neri di piccole dimensioni e una lavorazione che viene svolta interamente a mano, la produzione di vaniglia supera le duemila tonnellate all’anno.

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Quale ghiaccio scelgo? Un elemento fondamentale per realizzare un cocktail

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Si fa presto a dire ghiaccio; in fin dei conti non è altro che acqua allo stato solido. Eppure nella miscelazione non è così. All’interno di un cocktail, il ghiaccio non è un elemento di secondo ordine, ma un ingrediente in tutto e per tutto. Non solo mantiene la bevanda alla corretta temperatura di servizio, ma influisce anche sulla qualità complessiva del drink e, di conseguenza, sulla quantità di acqua che, con il trascorrere del tempo, lo va a diluire.

Per questa ragione esistono differenti tipologie di ghiaccio, ognuna della quali trova un proprio impiego a seconda del cocktail che si vuole realizzare e del bicchiere che lo contiene.

Il cubetto è il tipo di ghiaccio più comune, in genere perché la sua forma si adatta con facilità a qualsiasi bicchiere. Può essere di varie dimensioni e presenta una superficie ampia e spessa che gli permette di non sciogliere velocemente, senza alterare il sapore della bevanda. Questo tipo di ghiaccio è indicato per i cocktail che devono essere agitati o mescolati.Il cubetto può anche essere vuoto, ovvero cavo all’interno. In questo caso offre una maggiore superficie raffreddante ma, di contro, fonde più in fretta rispetto al cubetto classico.

Il ghiaccio nugget si presenta sotto forma di granuli di ghiaccio compresso di forma pressoché cilindrica. Di piccola dimensione e leggero, questo ghiaccio, con un residuo di acqua attorno all’otto per cento, risulta molto asciutto. La sua leggerezza lo porta a galleggiare e ciò evita l’ossidazione delle bevande; è ottimo nei drink gasati e nei cocktail pestati.

Decisamente più scenografica è, invece, la ice ball, una sfera di ghiaccio utilizzata perlopiù per i liquori o per i cocktail dal sapore forte, come l’Old Fashioned, serviti in bicchieri lowball. Come il cubetto, mantiene la bevanda fresca e si scioglie lentamente. Avendo però una superficie ridotta, l’ice ball tende a raffreddare in maniera meno omogenea il liquido che la contiene.

Per i cocktail che richiedono l’impiego di un bicchiere highball, dalla forma slanciata, come il gin tonic, la tipologia di ghiaccio indicata è il collins spears. Il collins spears altro non è che un blocco di ghiaccio lungo e spesso, dalla forma di parallelepipedo, ideale per mantenere freddo un miscelato servito in un bicchiere alto senza diluirne il sapore.

Il ghiaccio secco – andride carbonica allo stato solido – crea, invece, un sorprendente effetto fumo nei cocktail, grazie al processo di sublimazione. Essendo più pesante del ghiaccio tradizionale precipita sul fondo del bicchiere e raffredda in maniera più blanda la bevanda. Attenzione però a non ingerirlo o appoggiarlo alle labbra, la sua temperatura raggiunge i – 78,48 °C!

Infine, un piccolo consiglio estetico. Per ottenere anche a casa un ghiaccio cristallino, trasparente e privo di quella patina opaca, basta porre nel congelatore un piccolo frigo portatile (come quelli che si portano al mare) senza coperchio colmo di acqua. Trascorso un giorno, il blocco di ghiaccio va estratto e, armati di coltello seghettato e martello di legno, va tagliato e, per i più pignoli, levigato fino a ottenere la forma desiderata. Il processo che permette di ottenere del ghiaccio limpido è chiamato directional freezing: l’acqua, all’interno del frigo portatile, congela solo dall’alto verso il basso e le impurità si depositano sul fondo.

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